IL CAVALIERE INELEGGIBILE E IL D'ALEMA SMEMORATO

di Paolo Sylos Labini - novembre 2000

Alla festa dell'Unita' di Bologna D'Alema ha dichiarato (<<la Repubblica>>, 15 settembre 2000): <<Berlusconi, concessionario dello Stato, era ed e' ineleggibile per incompatibilita', la decisione della Giunta per le elezioni e' stata una finzione>>. Successivamente, in un'intervista televisiva ha dichiarato (<<la Repubblica>>, 28 ottobre): <<Dopo le elezioni del 1994 [....] laGiunta per le elezioni della Camera, a maggioranza di centrodestra, delibero' che titolare delle concessioni delle aziende non era Berlusconi ma Confalonieri>>. <<Ma come mai>>, domanda il giornalista, <<all'epoca della Bicamerale di cui D'Alema era presidente, non si riusci' a risolvere la questione?>>. Risposta: <<Abbiamo rispettato il voto di tanti milioni d'italiani, e poi Berlusconi ha promesso mille volte che avrebbe venduto le sue tv, ma non lo ha fatto>>.

Nel 1996 alcuni intellettuali - io ero fra questi, gli altri erano Borrello, Bozzi, Cimiotta, Flores d'Arcais, Galante Garrone, Laterza, Pizzorusso, Visalberghi - organizzarono un gruppo di pressione per far rispettare la legge 361 del 1957,che stabiliva l'ineleggibilita' in Parlamento dei titolari di concessioni pubbliche di rilevante interesse economico e ci attivammo  per far presentare ricorsi a chi ne aveva diritto; chiedemmo anche consigli a Ettore Gallo, che era stato presidente della Corte costituzionale. Data l'importanza della questione ci documentammo con scrupolo: per questo siamo cosi' bene a conoscenza delle vicende cui allude sommariamente D'Alema, il quale tuttavia parla solo della Giunta per le elezioni del 1994.

Quella Giunta, e' vero, era a maggioranza di centrodestra, ma i ds votarono insieme col Polo: l'unico voto contrario lo dette Luigi Saraceni, che agi' da cane sciolto e non fu riconfermato nella Giunta della successiva legislatura, quella del 1996; qui la maggioranza nella Giunta per le elezioni era di centrosinistra, ma - e' triste dirlo - i ricorsi  furono respinti all'unanimita', nonostante gli appelli del nostro gruppo. Entrambe le volte i ricorsi furono rigettati con una <<finzione>>, dice D'Alema, con un osceno cavillo, diciamo noi: ineleggibile non era Berlusconi ma ......Confalonieri.

Pertanto, le recenti dichiarazioni di D'Alema debbono essere  interpretate come un riconoscimento che le precedenti prese di posizione - specialmente la seconda - furono due errori politici, da correggere dunque subito, malgrado le rilevanti difficolta'. La linea del gruppo dirigente dei ds allora era di un appeasement con Berlusconi; per i Popolari c'era anche il motivo di aiutare Cecchi Gori, che, nel suo piccolo, si trovava nelle identiche condizioni di Berlusconi - aveva gia' una rete televisiva, poi ne ottenne un'altra - e intendeva essere eletto in Parlamento. Quelli, come noi, che sostenevano che in un paese civile le leggi debbono essere rispettate da chiunque, amico o awersario, furono trattati come fastidiosi <<moralisti>>, che non comprendono nulla di politica.

Le responsabilita' dei ds nella progressiva affermazione di Berlusconi, che nel 1995 era in condizioni politiche e finanziarie  quanto mai precarie, sono gravi. Ancora nell'ottobre del 1999 il circolo Giustizia e Liberta' di Roma in collaborazione con la rivista <<Il Ponte>> organizzo', al cenacolo della Camera un convegno sul tema <<Conflitto d'interessi e ineleggibilita' parlamentare>> invitando persone che potessero rappresentare il vertice dei ds: avemmo assicurazioni, ma non venne nessuno. 

Al convegno, i cui atti furono pubblicati nel fascicolo di novembre della rivista, presentarono relazioni, oltre chi scrive,  Vittorio Cimiotta, Alessandro Pizzorusso, Giovanni Sartori, Elio Veltri, Carlo Vallauri e svolsero interventi Roberto Borrello, Giuseppe Bozzi, Aldo Corasaniti e Primo Di Nicola. E bene parlare con grande chiarezza e senza peli sulla lingua:  i ds hanno legittimato Berlusconi sul piano politico, contribuendo al suo successo - i milioni di voti, che comunque in una democrazia non possono legittimare chi ha violato le leggi, in qualche misura provengono, oltre che dal terribile potere persuasivo della televisione, anche da quella legittimazione, che ha rafforzato l'idea, gravemente fuorviante, che Berlusconi e' uomo di destra ed e' percio' che si contrappone alla sinistra. Ma qui destra e sinistra c'entrano ben poco: io sono in rapporti di stima e di amicizia con diversi uomini di destra che sono anche pi- di me critici del Cavaliere e lo considerano,   come me, un pericolo per la democrazia. La legittimazione  di Berlusconi operata dai ds e dai suoi alleati ha avuto  effetti anche sul suo rafforzamento finanziario, proprio nel tempo in cui le societa' del Cavaliere erano oberate da debiti.

Secondo il giornale <<Milano Finanza>> dell'8 luglio 2000, nel 1994 Berlusconi aveva un passivo di circa 4 mila miliardi e qualche banca, come il Credito italiano, cominciava a chiedere  i rientri; in seguito, <<col mutato clima politico>>, le banche  via via rinunciarono a chiedere i rientri e fecero anzi grossi prestiti, che contribuirono a fargli superare le gravi difficolta'  e portarono alla fine al rovesciamento della sua situazione finanziaria: da un passivo di 4 mila miliardi il Cavaliere  passo' ad un attivo che oggi si stima a 30 mila miliardi. Il <<mutato clima politico>> fu fortemente condizionato dal mutato  atteggiamento dei principali awersari politici, i ds, che passarono da un censurabile estremo ad un altro estremo non meno censurabile: dalla totale ostilita' di Occhetto, che voleva <<ridurre in poverta'>> il Cavaliere, assunsero un atteggiamento  di polemica blanda e in fondo amichevole, come risulta dalla linea adottata nelle due Giunte per le elezioni, in cui decisero di prendere per buono quel miserabile cavillo,aggirando in tal modo una legge dello Stato.

Quando il Cavaliere si vanta di essere un grande imprenditore,  occorre osservare che, se non fosse stato per la prepotenza di Craxi, contro la quale inutilmente si scontro' l'opposizione di uomini politici civili - alludo a Martinazzoli ed ai suoi amici - egli non avrebbe avuto quelle concessioni televisive che hanno dato la principale spinta alla sua enorme crescita finanziaria; e quelle concessioni non hanno da fare coi rischi di mercato, sono invece simili ai brevetti (exclusive privileges) concessi dalla monarchia inglese alla Compagnia delle Indie per condurre affari anche illeciti restando impunita: Adamo Smith bollava quelle concessioni come un'infamia. 

Ben diverso e' il caso dell'imprenditore che si afferma nel mercato senza prepotenze o appoggi di uomini politici. La fortuna finanziaria del Cavaliere e' stata quindi avviata da Craxi e in seguito - di nuovo: e' triste dirlo - assecondata dai ds, con la beffa che, cio' nonostante, essi sono stati continuamente vilipesi e bollati come nipotini di Stalin.

E stato affermato: D'Alema ha scelto la via dell'appeasement  con Berlusconi perche' aveva l'idea della Bicamerale, che presupponeva buoni rapporti con lui: non poteva, da un lato fare la guerra al Cavaliere toccando proprio uno dei suoi principali  interessi e dall'altro ottenere la sua collaborazione. Se e' cosi', allora l'errore e' stato proprio di avviare la Bicamerale con   un personaggio come Berlusconi. Alcuni - io fui tra questi - lo misero subito pubblicamente in evidenza. D'Alema doveva rendersi conto che la Bicamerale poteva diventare una trappola quando Berlusconi gli chiese d'includere la riforma della giustizia nell'agenda, un punto fondamentale che in un primo momento non era previsto; era ovvio che la richiesta era da collegare   coi problemi giudiziari del Cavaliere: interessi privati in atti di ufficio; niente meno: atti di ufficio riguardanti la riforma della Costituzione.

Purtroppo D'Alema non fece una piega  e, senza pubbliche discussioni, incluse nell'agenda anche la giustizia. Questa, non c'e' alcun dubbio, da noi funziona malissimo, ma le riforme necessarie potevano - e possono - essere   introdotte con leggi ordinarie. La Costituzione deve limitarsi ad affermare solo i principi generali, che sono quelli tradizionali  della separazione dei poteri; e tale affermazione e' gia' contenuta nella nostra Costituzione.

Ogni volta che si rimette in discussione la questione del conflitto d'interessi Berlusconi obietta: ma io stesso ho presentato  un progetto di legge che e' stato approvato all'unanimita' dalla Camera nel 1998: se il centrosinistra lo fara' approvare  anche dal Senato la questione e' risolta. Ma il centrosinistra   lo approvo' quando aveva adottato la linea dell'appeasement; questa linea e' venuta meno quando il Cavaliere rovescio' il tavolo della Bicamerale dicendo brutalmente che le riforme che lo riguardavano, quelle della giustizia, non gli davano sufficienti garanzie. E vero: D'Alema mise in evidenza che la Bicamerale era fallita per colpa di Berlusconi; ma, considerato il grande impegno che aveva profuso nel tentativo e considerata la figura infelice che il Cavaliere gli faceva fare tale e' la figura di un politico che mostra di fidarsi di un personaggio  come Berlusconi - D'Alema non reagi' con sufficiente veemenza.

Era quello il momento di avvertire il Cavaliere  che la linea dell'appeasement veniva necessariamente meno e che avrebbe appoggiato un progetto di legge serio per il conflitto d'interessi. Pare che intenda farlo nel prossimo futuro:   stiamo a vedere.

Le ipotesi per risolvere la questione del conflitto d'interessi dei titolari di concessioni pubbliche sono diverse. Il progetto  di legge proposto da Berlusconi nella formulazione originaria e' una beffa; una prima ipotesi e' appunto quella d'introdurre  emendamenti sostanziali, inserendo la regola della incompatibilita'. In effetti, le ipotesi fondamentali sono due: ineleggibilita' al Parlamento o incompatibilita' con incarichi di governo.

Diversi politici preferiscono la seconda ipotesi, giacche' anche chi non e' parlamentare puo' ottenere quegli incarichi. In ogni modo occorre una norma <<anticavillo>> per ben chiarire chi deve intendersi per titolare della concessione ed evitare il bis del cavillo escogitato dalle due Giunte per le elezioni. Ed occorre una norma che impedisca di aggirare le regole ricorrendo  a parenti, come ha gia' fatto Berlusconi per mantenere la proprieta' del <<Giornale>>. Puo' darsi che la soluzione preferibile sia quella di stabilire l'incompatibilita', aggiungendo due norme, una <<anticavillo>> ed una <<antiparente>>.

Chiarito tutto cio', si deve dire che, dopo le dichiarazioni riportate sopra, D'Alema non puo' rimanere inerte; la scelta di una delle alternative appena ricordate spetta al D'Alema  politico, al suo partito ed ai partiti alleati. Mi rendo ben conto  che il compito e' molto difficile; ma credo che D'Alema a sua volta si renda conto che oramai, per la sua stessa immagine, deve far seguire le azioni alle parole. Non e' detto che abbia successo; ma c'e' modo e modo di perdere: se si batte in modo serio, la sua azione puo' servire a rendere ben chiaro agli elettori, anche con riferimento all'esperienza della Bicamerale, chi e' Berlusconi.

Se D'Alema intende impegnarsi a fondo, credo di potergli assicurare la collaborazione, oltre che mia, delle persone che ho nominate prima, una collaborazione  che puo' essere estesa anche ad altri membri del suo partito e dei partiti alleati. Credo che pochi, anche tra i critici di Berlusconi, si rendano ben conto del tremendo pericolo che corre la democrazia italiana se il Polo della liberta' vince le prossime elezioni. <<Non faremo prigionieri>>, aveva detto Previti (che in questo periodo si e' defilato).

Non occorre essere particolarmente pessimisti per prevedere liste di proscrizione e per ritenere che l'uomo  fara' una bella riforma della giustizia che tenga il dovuto conto della sua posizione e di quella dei suoi soci piu' esposti mi  riferisco a Previti e a Dell'Utri - e che cerchi di attuare due leggi: la prima, preannunciata quando era presidente del Consiglio,  per riformare la stampa allo scopo di impedire le <<distorsioni>> dei giornalisti; la seconda, una legge che fissi norme per selezionare buoni insegnanti e buoni libri di testo, mettendo al bando quelli che diffondono falsificazioni e veleni marxisti tra i giovani, come l'esaltazione della Resistenza e la denigrazione sistematica della patria: la Casa delle liberta', com'e' naturale, esige un giornalismo della liberta' ed una scuola della liberta'. (In nessun paese civile esiste un comitato pubblico per mettere all'indice libri scolastici <<faziosi>>; sono le associazioni di genitori e di studenti che hanno il diritto di formulare e rendere pubbliche le loro valutazioni. Ma forse Confalonieri ha ragione: siamo un paese semilevantino.)

No, non vedo il rischio di una dittatura vera e propria, vedo  pero' il rischio di un regime a liberta' fortemente limitata, conforme agli interessi economici, istituzionali e culturali del partito-azienda e dei suoi alleati, con conseguenze reversibili  solo con enormi difficolta' e in tempi non brevi anche dopo la fine del governo berlusconiano. Al tempo stesso, di nuovo, non occorre essere particolarmente pessimisti per immaginare come potra' essere l'azione di governo del padrone della Casa delle liberta': considerata l'incredibile varieta' dei suoi interessi - televisioni, banche, assicurazioni, immobili, attivita' commerciali e pubblicitarie - pare impossibile, per Berlusconi primo ministro, non incappare continuamente nella sua attivita'  in qualche conflitto d'interessi.

Cosicche' se, come ha dichiarato,  intendesse astenersi su ogni atto di governo dove fosse in gioco un suo interesse, dovrebbe, e' stato spiritosamente osservato, astenersi dal governare.

Questa situazione non condiziona solo il nostro paese; considerato l'infittirsi delle nostre relazioni in Europa e delle  direttive emanate dagli organi europei, i nostri partner si renderebbero ben conto che il fenomeno Berlusconi non riguarda  solo noi italiani, come finora hanno mostrato di credere, ma anche loro, cio' che renderebbe ancora piu'  gravi le loro preoccupazioni derivanti dalle liaisons dangereuses con Bossi e, attraverso Bossi, con Haider.

Insomma, credo che non sia affatto esagerato mettere in risalto i due rischi tremendi - in una certa misura collegati che  correrebbe il nostro paese se Berlusconi tornasse al potere:  il primo riguarda il nostro sistema democratico, il secondo  la nostra permanenza in Europa. Su questi due gravissimi rischi dobbiamo riflettere tutti, finche' siamo in tempo.